Fatti

La prima viola

La prima viola vista quest’anno era una viola recisa, lasciata sulla terra pressata del sentiero. Era – lo si vedeva bene – una viola ombrosa, di fosso, con petali scuri come il cerchio denso che resta sul fondo del bicchiere di vino bevuto.

Qualcuna delle parole che sento, forse arriva anche fin laggiù, alla sua piccola altezza: “La pasta, ti dicevo, viene peggio se la si fa con la macchina, ha tutto un sapore come di ferro, tutto un sapore che sembra un veleno”, “Non fa niente, non morde, non avere paura”. “Così gli ho detto, gli ho detto una volta per tutte quel che pensavo di lui”.

La prima viola vista quest’anno era un viola recisa, il suo sguardo già un po’ appassito a osservare indulgente i copertoni delle biciclette, le gambe nervose dei corridori, le zampe ricce dei cani barboni, ad ascoltare il battere diverso di piedi leggeri, di piedi stanchi, di piedi rumorosi come risacca marina.

Una mano, poco prima, aveva saggiato quel gambo cedevole e, senza colpa, in un attimo l’aveva reciso. Come per ogni fatto, anche per questo c’è stato un prima e un dopo, certo, ma nessuno ci ha fatto caso.

Qualcuno ha atteso inconsapevole che quella carne verde s’ammollasse nel sudore delle dita, poi l’ha lasciata scivolare via, che fosse esattamente quella, la prima viola che avrei visto quest’anno.

A volte, raramente, le viole sbocciano al sole. Eppure le più belle, è un fatto risaputo, sono quelle che crescono nell’ombra.

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