Eventualità, Fatti

Cose che succedono a volte

Non è questione di calendario, ma di sacro. Sacro è ogni momento in cui il mondo ti mette un dito sotto al mento per alzarti la faccia in alto, a farti vedere quel che c’è.

Succede, a volte.

Quando cammini in un vicolo vuoto e da una finestra esce un acciottolio di piatti e c’è una radio accesa e le voci delle persone si intrecciano a quelle della canzone e tu per un attimo entri dentro quella vita che non è tua.

Quando ti cucini qualcosa di buono, poi ti apparecchi la tavola e finalmente ti siedi.

Quando incolli a una pagina a righe un biglietto aereo, o una foto dai bordi smussati, o una foglia d’acero. Rossa.

Quando accarezzi un animale che dorme.

Quando, in ginocchio sul balcone, cuci con ago e filo la stoffa della tua sedia a sdraio verde e ripassi i punti tante volte, perché siano sicuri, e l’aria è dolce e stare lì è un po’ come pregare.

Quando si fa sera, in quel momento in cui il cielo si fa come di cristallo e tu sei lì a vederlo.

Quando le parole si mettono in fila e scorrono come acqua da un rubinetto aperto.

Quando sei alla finestra e senti per caso un pezzo di conversazione che fa così: “probabilmente mi sto sbagliando”.

Quando una persona che ti vuole bene ti dice: “Guarda, quelle sono le nuvole che ti piacciono”.

Quando hai corso veloce e poi ti fermi e i muscoli delle gambe pulsano come la pancia di una lucertola al sole.

Quando senti una canzone e ti vien voglia di ballare e forse non balli, ma quella melodia continua a suonare in testa ancora un po’.

Quando cambi idea.

Quando è notte e cammini verso casa e passi davanti alla vetrina accesa di una mesticheria e davanti c’è un vecchio fermo a guardare e a un certo punto ti accorgi che sorride e vuoi vedere cosa lo fa sorridere allora rallenti un attimo e vedi che sono sassi dipinti a far finta d’essere gufi, gatti, coccinelle, girasoli.

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Fatti

La battaglia di via della Ripa

Via della Ripa, Forlì

Furono le donne, quel giorno (a chi interessano le date si potrà dire che era il 24 marzo del 1944), affacciate dalle loro finestre, a guardare morire quel pugno di giovani, tanti quanti sono le dita di una mano stanca. Li videro morire fucilati da un plotone di soldati minacciato dai nazisti. Colpiti troppo in basso perché gli potesse essere concesso il misero premio di morire subito. Lasciati lì, ancora vivi, dopo lo schianto delle ginocchia arrese sul selciato a respirare quell’ultima aria dolorosa. Quegli uomini con le facce scure hanno tutti vent’anni, anno più anno meno, e la loro colpa è quella di aver provato a evitare quella guerra. Alla guerra, però, non sono riusciti a scappare: gli è saltata addosso nella forma di una fucilata senza tante cerimonie, di fronte al muro scrostato della caserma di via della Ripa.

Di parolacce ne dissero, le donne affacciate alle finestre. Tirarono fuori tutte le parole peggiori che venivano loro in mente e ne saltarono fuori alcune che non sapevano nemmeno di conoscere, come se le avessero conservate da qualche parte per poterle usare in occasioni come questa.

Passano i giorni, ma sono pochi e ancora il sangue dei cinque morti scurisce il selciato. Nella caserma si tiene un processo dall’esito certo: altri dieci saranno fucilati. Le ragioni sono le stesse.

Il lavoro, allora, quel lavoro da servette che facevano, più numeri che persone, diventa un’arma: le donne escono dalle fabbriche, ognuna dalla sua, e camminano verso via della Ripa. Restano lì, come un muro, e quando qualcuno spara una fucilata nessuna batte un ciglio, anche se l’uccello che s’agita nascosto nella gabbia toracica starnazza come se volesse uscire dalla bocca. Ma non può.

Andò a finire che le donne rimasero lì per due giorni. Quando il secondo giorno cominciava a scurire fu deciso che nessuno sarebbe stato fucilato. Per qualcuno, forse, sarebbe stato meglio andarsene lì, davanti a quel muro, che poi non fece altro che andare a morire in qualche campo di concentramento, di fame e pidocchi e della paura grande d’esser lontani. Ma si sa che, in quel momento, nessuno poteva guardare troppo oltre. Se si guardava, quel che si vedeva erano i propri piedi impolverati, e il muro di una caserma, e una battaglia da combattere.

Dopo si vedrà.

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