Fatti

Vongole

“Mi dia, per piacere, una retina di vongole”.

“Mi scendono i pantaloni, tra poco resto in mutande”, ride la pescivendola dietro al bancone.

Il tessuto di felpa, allentato dall’uso, conserva la forma ronda delle natiche della donna, scivolata quasi all’altezza delle sue ginocchia. Lei afferra l’elastico lasso con la punta delle dita, tirandolo fin sopra la piega del ventre.

“Mi scendono i pantaloni, poi chissà che bello spettacolo, fuggiranno tutti”, ride la pescivendola con i capelli gialli, dalla consistenza della lana di vetro.

“Ma no”, sorride la cliente, “Ma no, anzi: attirerà persone a frotte”.

La pelle rosa della pescivendola si tinge d’un rosso che parte dai nervi del collo, solidi come radici d’albero, e sale verso l’alto in una rapidissima fotosintesi cremisi.

“Vuole il prezzemolo?”, chiede, la voce rotta dal gorgogliare del riso.

“Sì, grazie”.

“No, grazie a lei”.

Ma tutto quel gioco è durato troppo poco, e ora vuole già rifarlo: una doppia passata sull’argenteria per rinnovarne la luce.
Incartando il pacchetto, ricomincia: “Mi scendevano i pantaloni, poi chissà che bello spettacolo, sarebbero fuggiti tutti”.

E la cliente torna diligente alla sua riga del copione: “Avrebbe avuto la fila, le dico. Una fila di clienti”.

Ecco, la pescivendola adesso se la immagina quasi, quella fila di uomini (magari non lunghissima, va bene, ma considerevole), lì a guardare con desiderio le sue cosce pallide, i solchi sottili delle smagliature, gli avvallamenti della cellulite, il vello morbido della sua peluria.

Ride più forte: “Grazie, grazie! E buona giornata!”.

Tra le valve chiuse delle vongole c’è ancora un piccolo sorso di mare: è quel che basta al mollusco per vivere ancora, per qualche minuto in più.

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