
Un altro palazzo di cemento, del tutto simile a quello in cui mi trovo io. Battuto dal sole e dal vento freddo. Vedo i suoi balconi rettangolari, regolarissimi. In fila. Vedo chi li popola. In uno, il penultimo, c’è un cane. Si tratta di un cane piccolo, bianco e nero, nervoso. Corre avanti e indietro e ogni tanto abbaia a qualche gatto immaginario o alle nuvole che passano veloci, cambiando le geografie del cielo ad ogni folata.
Più in basso sventola una tenda bianca, un segno di pace silenzioso. Si gonfia e si sgonfia come la vela di una nave pirata. Come il polmone di un innamorato.
Più sotto ancora una donna porta fuori una pentola a pressione e se ne va. Rimane, vivissima, la pentola. Sfiata e sbuffa rabbiosa, incurante del mondo. Feroce e solitaria, come un pazzo. Al piano di sotto una ragazza forse araba, con un foulard rosso e blu avvolto intorno alla testa si spalma lo smalto sulle unghie dei piedi, seduta su una poltrona bassa che da qui non si vede. Nel balcone inferiore – l’ultimo che riesco a vedere – un uomo fuma con i gomiti poggiati alla ringhiera, le maniche a scacchi arrotolate fino agli avambracci. Guarda in basso.
Poi succede davvero, come in un film. O in un sogno. È un attimo.
Il velo intorno alla testa della ragazza viene strappato da un vento anarchico che lo fa ballare nell’aria per un po’, prima di abbandonarlo alla sua inesorabile planata verso terra. Quello che fa la donna è alzarsi velocemente nel tentativo utopico di riprenderlo. Allunga la mano verso il pezzo di stoffa, sporgendosi verso il basso. Tende il corpo, lo rende elastico, plasmato sull’aria gonfia di vento, oltre la balaustra.
Il momento fondamentale, il più struggente, è l’istante esatto in cui l’uomo che fuma alza la testa e guarda quell’uccello rosso e blu (una fenice, penso) che balla un ballo ancheggiante nell’aria invisibile sopra di lui, mentre la ragazza, con un gesto ormai senza speranza, continua ad allungare la mano nel vuoto. Un incontro mancato, tutto un allungarsi di occhi, di tendini, di ossa e muscoli.
Capita che le curve del mondo prendano l’aspetto di un velo rosso e blu, nel vento di maggio, e di un paio d’occhi che si fanno lunghi e che quasi incontrano due lunghe braccia.