Eventualità, Luoghi

Uno dei punti di vista

Cemitério de Agramonte

Il caldo è scomodo come un paio di pantaloni troppo aderenti. Dal cancello principale del cimitero portoghese esce un vecchio, la faccia gli si scioglie piano sulla camicia di flanella e il manico lucido del suo bastone di ferro proietta sulle lapidi scure dei colerosi piccoli fuochi fatui, ombre di specchio, fantasmi ballerini.
Ogni tanto, da dietro una siepe o un muretto basso, sbucano delle donne dai capelli ingrigiti con in mano un annaffiatoio, un paio di cesoie, un mazzo di fiori d’un rosso stanco, cariche di commozioni antiche come quadrifogli lasciati a seccare tra le pagine di un libro.

In mezzo al cielo dardeggia un sole inopportuno che fa tremare l’aria come una leggera tenda trasparente. L’urlo delle cicale si accorda con una lontana musica sincopata, buona per ballare.

Nel cimitero ci sono tombe antiche, spezzate come denti anziani, cappelle sontuose, angeli addolorati dal capo chino, un soldato in uniforme, un cristo con il costato acuto sotto la pelle di pietra. Ci sono, poi, le sepolture nuove. Bianche e lisce, i caratteri dei nomi d’un oro che s’incendia di sole. C’è, tra queste tombe, anche quella di Joaquim M., morto nel 2017, ed è la sua antica faccia viva a guardare un punto lontano da un ovale smaltato, piccolo oblò tra quel che c’era e quel che c’è.

Lì sopra, sul piano di marmo, sdraiato a occhi socchiusi, sta un gatto grigio e bianco, a vegliare su quel morto come se fosse il suo morto. Questo quello che penserebbe senz’altro chi si trovasse a passare di lì. Forse si chinerebbe, allora, ad accogliere quella piccola testa nell’incavo della mano, per consolarla di una pena supposta, percorrerebbe con il palmo la linea morbida della sua schiena e pronuncerebbe una frase come: “Bravo micino”. La ripeterebbe due volte, forse: “Bravo micino, bravo micino”.

Ma, diciamolo, forse quella sarebbe un’illusione. Il gioco pigro di una mente che non conosce abissi.
Chi lo sa, come guardano il mondo, attraverso la fessura dei loro occhi gialli? Se tengono in conto concetti oziosi come l’esistere e il non esistere più. O se per loro il tempo non è che un cerchio acciambellato per riposare, caldo di fusa e di corse sognate. Il piccolo punto dove si sviluppa l’adesso.

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Fatti

Geografia fisica

Scoppia come scoppia un chicco d’uva sotto i denti, l’oggi.
Solo ieri c’era l’alabastro delle schiene di quei miei coetanei che, colmi fino all’orlo dei loro sedici anni, attraversarono correndo piazzale della Vittoria lasciandosi dietro scie di vestiti come traslucide bave di lumaca a tracciare strade che non esistono, e si tuffarono nudi nell’acqua fredda della fontana marzolina. Flessibili di giovinezza, nudi come dio. Un calcio in faccia alle miserie a venire.

Quale di quelle fibre elastiche, quale di quelle cellule sane, immaginava i compromessi cui sarebbero stati chiamati a scendere? C’era già, tra i grani di rosario delle vertebre, la premonizione della ruga triste che avrebbe appannato lo smalto azzurro delle loro iridi?

Avranno fatto in tempo, forse, prima di diventare altri da loro, ad andare in motorino in due, dentro una sera lucida, la testa del passeggero sul vibrare della schiena di quello che guida, nel tremolio laccato di un ultimo sole, netto come il disegno su una scatola di cioccolatini di lusso.

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