
Si può cominciare ricordando un negozio ormai chiuso, affacciato sulla via che percorrevi sempre quando abitavi nella vecchia casa. Il consiglio è quello di partire dalla luce. La luce è sempre un elemento importante per dipingere un ricordo. Lì la luce non si spegneva mai, ed era gialla contro il muro scrostato. Sali, adesso, fino all’insegna dipinta bianco su rosso. O bianco su marrone? No, bianco su rosso. SALSAMENTERIA TOMBA. Spingiti dentro con la memoria, varca la porta. Non importa se lì dentro non sei entrato mai: quante volte passando le pupille ti si sono impigliate a una vecchia bilancia polverosa appoggiata sul bancone! Dentro, per estensione, nei tuoi ricordi ogni cosa era polverosa. Ma hai dimenticato il dettaglio più importante. Sei costretto a uscire di nuovo, rientrerai dopo. Fuori, accanto alla porta di vetro sottile, pieno di bolle come un muro d’acqua, era sempre appesa una lavagna sbreccata che annunciava ‘oggi ciccioli caldi’ e quell’ ‘oggi’ non avevaieri né domani. Del resto è oggi tutti i giorni, e non è un errore sottolinearlo, di tanto in tanto. Dietro il vetro del bancone forse c’erano davvero salami e prosciutti lucidi di grasso, ma di loro non ricordi. Ricordi il proprietario, che per te era solo un camice bianco da dottore e un paio di occhiali gialli come denti gialli, che per quell’uomo il mondo doveva aver sempre l’itterizia. C’erano scaffali, anche. Sforzati di vederli. C’era un paio di forbici grandi come il tuo avambraccio, ticchettate di ruggini antiche. C’erano bottiglie di vino andate in aceto. Ricorda l’odore. No, non del negozio: so che non c’eri mai entrato. Ricorda l’odore umido della strada…
Può bastare così. Non si esageri con i ricordi. Quel che è stato è stato. Si dice così, no?
Un esercizio per i non principianti: si pensi al sé di allora, mentre camminava di fronte alla SALSAMENTERIA TOMBA, e ancora non si parlava quasi mai di foresta amazzonica e di olio di palma e la crisi di governo e crisi di un altro governo. L’umidità nell’aria gli si raccoglieva nella piega sotto al naso e ancora non conoscevi il significato della parola ‘callido’ e certe cose che son state non erano ancora state, e il cielo prometteva pioggia, ma quella persona ancora non sapeva se avrebbe mantenuto la promessa e sperava in cose che ha avuto e in altre che non spera più e se ci si concentra, ora, si può sentire il battere veloce dei propri piedi di allora sull’asfalto di allora.
Se ricorderai bene, con molta attenzione, ti accorgerai che anche tu, come la SALSAMENTERIA TOMBA, non ci sei più.
Ma non esser(ci), cosa vuoi che sia?
C’è ancora il mio nome sulla cassetta delle lettere, ma io non sono più qui.
Altrove, faccio ombra per terra, e mi rifletto negli specchi, e i miei capelli si sporcano se non li lavo per giorni, mi viene fame quando non mangio e sete se non bevo. Mi viene tristezza se non posso avere una cosa che avrei voluto, sono contenta quando ascolto una canzone che si accorda a quel che vedo o quando il cielo si fa del mio colore preferito o quando sento che posso fare quel che voglio, se per caso in quel momento mi sembra di sapere quel che voglio. Mi crescono le unghie dei piedi.
Ma queste non sono prove inconfutabili che ci sono.
Tu mi ricordi, ma si ricordano anche i sogni.
Io sono come i cento talleri pensati, con cui sicuramente non ti comprerai tre gusti di gelato, ma nemmeno due.