
Immaginiamo che la realtà sia un pesce. Che le tante facce delle cose non siano che le squame argentee incollate ai fianchi di – mettiamo – un pesce volante: capace di sfuggire a chi cerca di catturarlo inabissandosi nelle profondità marine dove la luce è solo un riverbero, oppure guizzando in aria in un salto acrobatico. Doppio avvitamento, signore e signori, questo è un doppio avvitamento CARPIATO! Se così stessero le cose, allora, per afferrare in qualche modo una delle molte sfumature della realtà s’avrebbe da esser uomini d’ingegno. Statisti, magari, oppure grandi pensatori. Menti geniali, dense di neuroni come girini in uno stagno.
Ma forse no. Forse per catturare la realtà da viva, mentre ancora sta accadendo, mentre è ancora sospesa tra acqua e cielo (CARPIATO, signore e signori, questo è un doppio avvitamento CARPIATO!), l’unico modo è raccontarla. Farsi cronisti delle piccole cose, che sono la sostanza di cui sono fatte quelle grandi. Afferriamo la realtà per la coda, allora, e se la sua forza è troppo dirompente, meglio ancora: che ci porti via. Al galoppo, verso quel che non sappiamo ancora.
Qui si parla di persone, luoghi, fatti, pensieri, eventualità. Sempre guardandoli mentre si mangia radicchio alla finestra. A piedi nudi.