
Quel posto, ad esempio, è nato da una frana. Prima c’erano un corso d’acqua e alberi ed erba verde, e scricchiolare di foglie cadute, in autunno.
Poi, un giorno, dal picco che sovrastava la valle s’è staccata una fetta che è scivolata giù e giù ancora e la terra si è piegata come si piega un foglio di carta, anche se su quel foglio di carta c’è scritta una poesia.
Così il torrente è rimasto intrappolato come una lucciola tra due palmi di mano e s’è ingrossato ed è diventato un lago, e gli alberi che c’erano sono morti annegati. Ne restano gli scheletri lunghi e lisci come ossa, incrostati di funghi e abitati dai gufi.
A volerli navigare, i molti fiumi incisi sul legno, chi lo sa dove si può arrivare?
Pian piano sono arrivate le rane ad abbaiare il loro verso a bassa voce, come un segreto. L’odore aspro del bosco, la carne molle dei funghi. Vecchi passi quasi dimenticati: di lupo, di scoiattolo, di coleottero, di soldato, di zecca paziente, di contadini pieni di fame.
A un certo punto sono arrivati anche gli spettri degli uomini che, centinaia d’anni fa, hanno costruito la mulattiera arrampicata sul monte, sudandone le pietre una ad una: sono ancora lì, folte di muschio. Muschi tentacolari, silenzi, lame di luce su un microcosmo invisibile. E poi eccoli: gli elfi, le streghe, gli spiritelli dalle ali di vetro.
E’ così che nasce una foresta fatata.