
Si cominci con il restare fermi.
Davanti abbiamo una parete che è un arrampicarsi verticale verso un cielo orizzontale, come quello che disegnano i bambini. Lassù, non viste, ci sono le stelle: palle di gas anarchici che pulsano di bianco e di verde e di colori lontani. Baluginare notturno prima che lo ingoi il giorno.
Guizzano i muscoli immobili d’una immobilità fremente.
Si scoprirà che da qualche parte suona una musica vaga come un imbrunire.
Non si potrà non pensare, ora, a magma caldo che ci ribolle sotto, nel punto della terra dove s’è puntato il compasso per disegnarne il centro. Poi a cellule impazzite, esplosioni roventi, crateri gelidi o ribollenti, mitocondri zigrinati che da uno si fanno due, pianeti che si incontrano e scontrano, con placche materiche e con DNA confusi, pronti a stiracchiarsi, allungarsi e confondersi per inventarsi nuovi.
Torneranno in mente, a questo punto, le parole sconnesse di una filastrocca che cantavate da bambini che citava, tra le altre cose, cosce di pollo e merletti. Ci si stiracchi, allora, tendendo la schiena come si tende un arco prima di scagliare la freccia.
Ma non la si scagli, per ora.