
Una donna in piedi al centro del salotto, di fronte alla finestra aperta. Qualcuno, vedendola, potrebbe pensare che stia facendo ginnastica.
Alza le braccia con forza, verso il soffitto. Lancia calci violenti all’aria, gomitate a qualcuno che non c’è. Eccolo! Non lo vedi: non è lì, proprio dietro alle sue spalle. Allunga d’un tratto il collo, piegando il busto in avanti, sferrando una testata ad un naso ch’è altrove. Una lotta all’ultimo sangue con nessuno.
Ora la donna si è stesa a terra, con le gambe sopra a un tappeto che appare ruvido come la schiena di un ratto e la testa sul pavimento a piastrelle gialle, e sferra un attacco senza requie al suo nemico invisibile, battendo i talloni contro il nulla, a raffica.
Poi, come rispondendo ad un richiamo a ultrasuoni, che nessun orecchio tranne il suo può sentire, si alza, mettendosi prima a sedere e poi facendo leva con le mani sulle ginocchia. Eccola sparire dietro un angolo lasciando di sé solo una breve impressione sulla retina di chi la osserva.
Una manciata di secondi.
Torna con in mano un panno bianco, sul quale è ricamata in rosa la lettera L, e comincia a spolverare un tavolo di legno chiaro, che si trova appoggiato alla parete a destra.
Microcosmi di polvere le ballano intorno per un attimo, illuminati da una lama di luce.