
“La parola ‘crisi’ indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà. Come i malati, i paesi diventano casi critici. Crisi, la parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire ‘scelta’ o ‘svolta’, ora sta a significare: ‘Guidatore, dacci dentro!’. Ma ‘crisi’ non ha necessariamente questo significato. Non comporta per forza una corsa precipitosa verso l’escalation del controllo. Può invece indicare l’attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all’improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte alla quale si trova oggi il mondo intero”.
Questo lo scriveva il filosofo Ivan Illich in un saggio del 1977. Più o meno nello stesso periodo Foucault cominciava a parlare di biopolitica, la figlia del biopotere, ovvero quel potere che ha cambiato pelle e non ha più molto a che vedere con quello del gran sovrano che taglia teste o, dando prova di grande bontà, elargisce indulgenze, ma è quello di una politica che può “fare vivere oppure respingere nella morte”. La gestione del corpo diventa affare politico. È la nuova politica.
Sembra facile dirlo ora: ora il corpo si muove attraverso maglie strette, fatte di decreti e autocertificazioni. Eppure non è una novità: quello che succede oggi aveva cominciato ad accadere ieri. Oggi, semplicemente, balza in avanti e si fa evidente nel contesto di crisi. Si può approfittare, adesso, di questa nuova evidenza, per far sì che questa crisi non si riduca a un ‘Guidatore, dacci dentro!’ che sta a dire: ‘Fai di me quel vuoi, purché usciamo da qui’, ma sia un’occasione per notare quello che c’era già (ma non si vedeva) e quello che ci sarà (e non si sarebbe visto), per poterci ripensare più liberi in quel piccolo segmento di autonomia che si trova tra ciò che le cose fanno di noi e ciò che noi facciamo delle cose.