
Innanzitutto si raccomanda di non nutrire illusioni. Le illusioni, infatti, come certe piante grasse, non hanno necessità di essere innaffiate spesso. Non importa concimarle, né potarle affinché crescano più robuste.
Le illusioni, si può dire, si nutrono da sole. Sono accomunabili, in questo senso, a certe edere tenaci che si aggrappano ai muri delle case vuote e non importa se recidi le radici: alle loro piccole dita di corteccia basta quella poca rugiada stantia che è il sudore delle pietre per prosperare e fare le foglie verdi d’un verde spesso, che non teme tempeste.
Non solo le illusioni si nutrono da sole, ma nutrono anche l’organismo che le ospita. Parassiti utili, come i volatili che mangiano ciò che resta tra i denti degli ippopotami, le illusioni fanno del loro ospite quel che è: un buon imitatore che, con le labbra, si diverte a rifare il tubare di un piccione per capire l’ebbrezza veloce che prova nel volo e il palpitare di quella vita sotto le piume calde, il dipanarsi dei suoi piccoli progetti istintivi. E si fa l’idea azzardata di riuscire a tradurli in parole, per poterli raccontare.