Istruzioni

Istruzioni per serbare rancore

Si cominci ascoltando barrito di un soffiatore da giardino che sposta foglie secche, spingendole in masse mobili, a farne sculture di un attimo prima che vengano spinte in un bidone dalle pareti appiccicose di altre linfe, venute prima di quelle, senza la possibilità di sfarsi nella terra, capaci solo di colare le ultime stille lungo le aride pareti di plastica del secchio. Si ascolti quel suono aspettando con urgenza che termini.

Se lo si riesce ad ascoltare con sufficiente intensità, quel suono vorace divorerà ogni cosa e del mondo non rimarrà altro che un vago borbottio dentro lo stomaco di quel rombo.

Se ci si trova in casa si apra la finestra per guardare la proboscide gialla del macchinario. Forse si riuscirà a scorgerla da lì. Forse, invece, il suono guiderà lo sguardo verso una siepe e verso un vago frullare di foglie che sembrerebbero sospinte da un refolo gentile, se non ci fosse quel grido meccanico a rivelare l’artificiosità del movimento. Guardare quel rumore dritto negli occhi non lo spaventerà, ma lo renderà più feroce. Quel suono balzerà in avanti, allora, e per evitarlo non basterà chiudere le ante.

A questo punto si resti lì, lasciando che l’insistere del rumore si insinui sgocciolando nelle orecchie come batuffoli di cotone bagnati e si cominci a pensare ad altri rumori. A quello di un tosaerba, ronzante decapitatore di margherite e coleotteri, di un aspirapolvere, di una pompa per l’acqua, di una macchina per stendere il bitume che rende l’aria ondulata come un miraggio, il jingle di una radio, il climax veloce di una moto che passa e sfuma solo per cedere il posto alla successiva, il trapano a sbreccare le piastrelle al piano di sopra, un allarme che ulula nel mezzo della notte, voci che si sommano a voci, una sega che affonda di taglio nel legno.

Si lasci che quei rumori si affollino intorno e sciamino come api in maggio, quando escono dalle loro arnie per cercare un posto nuovo in cui abitare. Ci si comporti da apicoltori, allora. Si aspetti che tutti quei rumori si posino, formando un indistinto grumo scuro di fastidio, e si lasci che pian piano vi si accomodino in mente, imprimendole la loro forma come sul cuscino di un divano vecchio.

Che restino lì, ben al sicuro, e si sgranchiscano, ogni tanto, le ali: a lungo andare quel ronzare sarà il nuovo nome che darete al silenzio.

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