
Si cominci con l’osservazione delle stelle. Si guardino fino a coglierne i bagliori, verdastri come la pancia degli insetti estivi che occupano con le loro luminescenze gli spazi tra le pietre di vecchi muri sdentati.
A questo punto si provi a cogliere tracce di vita a venire nella fissità di quei punti in mezzo al nero, tremolanti come pupille dietro al merletto leggero delle lacrime. L’intrecciarsi dei destini, dicono, stanno scritti lì, in quei disegni segreti, nel tratto che non si vede, tra una luce e l’altra.
Si finirà per pensare – è inevitabile – che quella fissità da lampiride mal si adatti alla liquidità del domani, di quel che non c’è ancora ma ci sarà; quell’avvenire che non conosce geometrie se non quelle d’un attimo, pronte a infrangersi sulle cose in cavalloni isterici.
Si prenda in considerazione, allora, il volo basso delle rondini che sorvolano un fosso.
Con i loro corpi tiepidi di piume guidati da piccoli pensieri volatili, anche loro disegnano in cielo quella che sembra la costellazione del capricorno, ma è solo un attimo, lo stridere di un secondo.
Poi, subito, resta di nuovo solo la ribellione di garriti acuti, e batter d’ali anarchici, e un planare per gioco sul bacile capovolto che è il cielo.
Si considerino quelle tracce, allora. E, se si desidera, molte altre ancora.