
Con i denti, dunque, strappa via il buio della notte, fanne lembi scuri, da intrecciare insieme per costruirne una tana.
Denti: mandorle d’osso umettate di saliva e batteri. Unica parte di scheletro capace di uscire dalla carne, radici affondate per peduncoli appesi tra il dentro e il fuori in mobili equilibri insicuri.
Scaglie d’osso consumato dai pasti e dal passare e ripassare della lingua, spuntoni che trapassano i tessuti molli per uscire fuori a saggiare il gelo dei sorrisi in inverno, la cedevolezza variabile dei cibi, del guscio duro che scheggia un pezzo e lo fa aguzzo, l’urto pulsante delle parole che s’infrangono sulle pareti smaltate, il tic tic tic dello scontro tra avorio e avorio e il risucchio improvviso dello sbadiglio ribelle che si contagia come un morbo anarchico e, di bocca in bocca, grida OSSIGENO.
Con i denti, dunque, strappa via il buio della notte, fanne lembi scuri da intrecciare insieme per costruirne un cestino.
Sarà una grande festa arancione di cachi e mandarini.