San Zeno (Fc)
San Zeno – C’è una porta aperta che non si capisce da quale parte si deve attraversare, perché quella porta porta sempre fuori. C’è una chiesa senza tetto, dimenticata dietro un fosso, con erba tagliente al posto delle piastrelle. E c’è un santo. San Zenone. Che, prima d’esser santo, fu vescovo a Verona, in qualche punto sulla linea del tempo tra il 360 e il 370. Per esser santi si devono fare i miracoli e lui ne fece tre. Uno di medie dimensioni: un esorcismo sulla figlia indemoniata di un giudice. Un esorcismo, cosa vuoi che sia? Eppure il giudice lo ricompensò con una pesante e sfarzosa corona che gli rimase incollata addosso in tutte le rappresentazioni a venire.
Ben più grandioso il miracolo che lo vede giocare a palla con il Diavolo. E Zeno vince. E anche qui riceve il suo premio: un fonte battesimale di porfido portata in spalla dal Diavolo in persona. Una bella soddisfazione.
Ma eccolo, il miracolo più straordinario. Sono passate un paio di centinaia d’anni dalla morte di Zeno e nella cattedrale veronese a lui dedicata si è appena concluso il matrimonio tra il re longobardo Autari e Teodolinda. Insieme ad uno stuolo di invitati e di curiosi, i due si trovano ancora dentro la chiesa quando l’Adige esonda, gonfiando d’acqua le vie della città. Le trasforma in fiumi in piena, spazza via insieme a un limo melmoso ogni cosa incontri sul suo passaggio che non sia ben ancorata a terra. La cattedrale è sul suo tragitto, ma ecco che una forza misteriosa arresta le acque proprio sulla soglia. Si fermano lì, come se avessero incontrato un muro di vetro. Eppure non c’è davvero niente a fermarle, prova ne è che basta allungare le mani a coppa o accostarsi con le labbra per poter bere da quel fronte compatto. Immobile. Le persone dentro la chiesa sono in trappola, ma sono salvi. Intanto il mondo fuori galleggia nelle acque torbide del fiume. Ora non resta che aspettare il ritirarsi della piena per uscire, assaggiando con le labbra quell’acqua prodigiosa.
Se si alzano gli occhi dal centro della chiesa di San Zenone che conosco io, non si vedono putti dipinti. A volte ci sono arabeschi di nuvole, altre volte un grigio di piombo. In primavera il pavimento è di cardi viola e gramigna, e qualche papavero. In estate è di terra riarsa ed erba gialla. Niente organi. A volte urlano le cicale, a volte borbotta la pioggia. In un angolo c’è una nicchia blu come un quadro di Klein, con dentro un piccolo cosmo di stelle pallide. Non c’è un muro d’acqua a bloccare l’ingresso, anzi: le ante del portone sono sempre spalancate come ali di uccello. Eppure anche qui il mondo sa restare fuori, nonostante tutti gli spifferi.